I requisiti minimi di età richiesti per la pensione di vecchiaia sono stati ridefiniti per rendere uniforme l’età di pensione tra uomini e donne, lavoratori del settore pubblico e di quello privato, dipendenti, autonomi e parasubordinati. Tale equiparazione dell’età di pensionamento di vecchiaia si è attuata nel 2018. I requisiti anagrafici vengono adeguati con cadenza biennale agli incrementi della speranza di vita.
1) Lavoratrici e lavoratori con contribuzione al 31/12/1995
Per la pensione di vecchiaia occorre aver versato almeno 20 anni di contribuzione e aver cessato l’attività lavorativa dipendente in Italia e all’estero. Tuttavia potranno accedere al pensionamento le lavoratrici e i lavoratori con solo 15 anni di contribuzione se maturati entro il 31 dicembre 1992, o se autorizzati alla prosecuzione volontaria prima del 31 dicembre 1992 o se lavoratori dipendenti con almeno 25 anni di assicurazione e almeno 10 anni con periodi inferiori alle 52 settimane nell’anno solare.
1 tab. – Pensione di vecchiaia per i lavoratori(uomini e donne) dipendenti privati, pubblici, autonomi
Anno | Incremento speranza di vita (mesi) | Nuova età pensionabile |
2019 – 2020 | 5 | 67 |
2) Pensione di vecchiaia contributiva Legge n. 213 del 30 dicembre 2023(G.U. n. 303 del 30.12.2023)
Viene ridotto l’importo soglia richiesto per l’accesso alla pensione di vecchiaia di cui all’art. 24, c. 7, L. n. 214/2011 (assicurati dal 1.1.96 o assicurati prima, che esercitano il computo nella gestione separata), che passa da 1,5 a 1 volta l’importo dell’assegno sociale.
A partire dal 1° gennaio 2024, si può accedere alla pensione di vecchiaia contributiva al compimento dell’età pensionabile ordinaria (67 anni fino al 31.12.2026), con 20 anni di contribuzione, a condizione che l’importo della pensione risulti essere non inferiore all’importo dell’assegno sociale, annualmente rivalutato (€ 534,41 mensile nel 2024 anziché € 801,62).
Ricordiamo che si prescinde dal predetto importo minimo accedendo al pensionamento di vecchiaia a 71 anni di età (fino al 31.12.2026).
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La legge di bilancio 2018 ha escluso l’innalzamento dell’età pensionabile di 5 mesi previsto dal 1° gennaio 2019 ai lavoratori che possiedono almeno 30 anni di contributi ed hanno svolto determinate attività gravose ed usuranti per almeno 7 anni negli ultimi 10 di lavoro o attività usurante per almeno la metà della vita lavorativa. Questi continueranno ad accedere alla pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi anche nel biennio 2019-2020.
La pensione di vecchiaia decorre dal mese successivo a quello di maturazione dei requisiti anagrafici e contributivi. Per il personale del comparto scuola ed AFAM (Alta formazione artistica e musicale), invece, la pensione decorre dall’inizio dell’anno scolastico (1° settembre) o accademico (1° novembre) dello stesso anno in cui si maturano i requisiti anagrafici e contributivi per il diritto a pensione.
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Modifiche introdotte dalla Legge di bilancio 2025
Tra le disposizioni peggiorative emerge – per coloro che hanno contributi dal 1.1.1996 in avanti – la possibilità di uscita anticipata a 64 anni nel sistema contributivo attraverso il cumulo tra previdenza obbligatoria e complementare. Tuttavia, invece di rimuovere l’importo soglia, il Governo introduce requisiti più severi: dal 2025 saranno necessari 25 anni di contributi, e dal 2030 addirittura 30 anni, con un importo soglia – che viene innalzato per tutti, anche per coloro che non utilizzano il cumulo con la previdenza complementare – di 3,2 volte l’assegno sociale (circa 1.710 euro, 400 euro in più rispetto al 2022). Questi vincoli, in un mercato del lavoro caratterizzato da bassi salari e carriere discontinue, escluderanno gran parte dei lavoratori dalla possibilità di accedere alla pensione anticipata. Ulteriore conferma dell’inadeguatezza delle misure portate avanti da questo Governo, di fatto anche in contrapposizione a quella appena commentata, è il comma 169, che consente agli iscritti alle gestioni previdenziali obbligatorie, con riferimento ai quali il primo accredito contributivo decorre successivamente al 1° gennaio 2025, di incrementare il montante contributivo individuale maturato versando all’INPS una maggiorazione della quota di aliquota contributiva pensionistica a proprio carico non superiore al 2%. Questa possibilità appare completamente scollegata dalla realtà del mercato del lavoro italiano, segnato da bassi salari e una forte precarietà, rendendo irrealistico ipotizzare che un lavoratore in tali condizioni possa sostenere un contributo maggiore al sistema previdenziale. Inoltre, il fatto che tali contributi maggiorati non concorrano al raggiungimento degli importi soglia necessari per il diritto alla pensione anticipata o di vecchiaia rende questa misura inutile e inefficace.
Nelle sedi SPI CGIL troverai maggiori informazioni.